Il fenomeno “skin hunger”
Una delle conseguenze meno note della pandemia Covid-19 e dei suoi effetti sul benessere mentale è il cosiddetto effetto Skin Hunger, letteralmente “fame di pelle”. La fame di pelle è il nostro bisogno di toccare ed essere toccati dagli altri. Gli esseri umani sono intrinsecamente individui “sociali”, abituati fin dalla nascita al contatto umano, contatto umano che è reso impossibile se non proibito dalle norme di distanziamento sociale. Quando nasce un bambino, è prassi consueta porlo sul petto nudo della madre proprio per facilitare la prima forma di comunicazione, non verbale, ma per l’appunto tattile. Toccare, maneggiare, accarezzare il neonato, favorire il contatto pelle a pelle, rassicura il bambino, gli permette di sopportare le prime frustrazioni e di addormentarsi.
Per gli adulti, il contatto tattile è parte importante del modo in cui entriamo in contatto con l’altro, stringiamo un accordo o sigliamo un’amicizia. Semplici azioni come darsi la mano, baciarsi, abbracciarsi, tenersi per mano o semplicemente toccarsi soddisfano questo bisogno innato di contatto. La rivista medica Nature ha pubblicato uno scritto di Bo Balder, scrittrice freelance che vive e lavora nella città olandese di Utrecht, vicino ad Amsterdam (Balder 2016). Lo scritto si chiama “skin hunger” ed è dedicato esattamente a questo fenomeno. Non possiamo trascurare gli effetti psicologici della pandemia. Ci vorranno anni per capire le tracce di questi mesi di distanziamento sociale sulla vita degli individui. Non possiamo ancora immaginare quando questo periodo sarà definitivamente alle spalle, ma abbiamo la certezza che rimarranno a lungo nella nostra memoria delle tracce indelebili.